Principale fonte di inquinamento del nostro pianeta, le microplastiche nell’acqua hanno raggiunto un numero considerevole che preoccupa esperti e ambientalisti, soprattutto per l’impossibilità di raccoglierle e rimuoverle in maniera efficace dall’ambiente.
La loro diffusione nell’acqua potabile è oggetto di studio da parte di numerosi enti di ricerca e università, per comprendere da dove arrivano, come prevenire il loro accumulo e gli effetti a lungo termine sulla salute umana.
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Microplastiche nell’acqua, quando sono diventate un problema
Negli ultimi cinquant’anni la plastica è stata protagonista assoluta del boom industriale e della bolla del consumismo mondiale.
Grazie alla sua versatilità, ai costi di produzione e di acquisto relativamente bassi e alla resistenza, questo materiale è diventato protagonista della vita quotidiana di miliardi di persone, impiegato per realizzare oggetti di varia natura e confezioni monouso come le bottigliette in PET.
Proprio in relazione a questi ultimi elementi si è sviluppato il paradosso della plastica. Perché utilizzare un materiale che impiega centinaia di anni a degradarsi per produrre packaging da utilizzare una sola volta e poi gettare?
Se tutti facessero la raccolta differenziata, forse la situazione odierna sarebbe diversa.
Purtroppo però solo una piccola percentuale della plastica esausta viene riciclata. Il resto si disperde negli ecosistemi e finisce per alimentare l’inquinamento di mari, terreni e anche aria.
Galleggiando nei mari e restando a contatto con il suolo, i polimeri sintetici iniziano a degradarsi in frammenti sempre più piccoli che, attraverso correnti e venti, fanno il giro del mondo e si depositano anche in luoghi sperduti, dove neanche l’uomo è ancora arrivato.
Che cosa sono le microplastiche
I rifiuti plastici, a seconda delle loro dimensioni, possono essere classificati come:
- > 25mm macroplastiche
- < 25 mm mesoplastiche
- < 5mm microplastiche
- < 1µm nanoplastiche
I più preoccupanti sono gli ultimi due dell’elenco, difficili da osservare e raccogliere, ormai diffusissimi in ogni ecosistema marino e terrestre.
Le microplastiche e le nanoplastiche sono formate da componenti sintetici come polipropilene, polietilene e polivinilcloruro oppure semisintetici come cellophane e rayon.
Anche gli pneumatici, a contatto con la strada, generano micro particelle dannose chiamate tyre wear, così come le piccole sfere contenute nei detersivi (oggi bandite dall’UE) e nei cosmetici.
Primarie o secondarie?
Esiste un’altra classificazione delle microplastiche, che possono essere primarie o secondare in relazione all’origine.
Quelle primarie vengono appositamente prodotte per scopi industriali. Ne fanno parte le microbeads utilizzate come abrasivi nei saponi e nei detersivi, come elementi decorativi negli smalti o nelle paste abrasive.
Quelle secondarie, invece, derivano dalla degradazione della plastica dispersa nell’ambiente e se ne trovano percentuali altissime nei mari e negli oceani.
A destare attenzione nel mondo scientifico sono i potenziali effetti delle microplastiche principali e secondarie nell’acqua e il loro impatto sulla salute di tutti gli esseri viventi, sia per il contatto che per l’ingerimento attraverso cibi contaminati.
Un esempio? I pesci inavvertitamente ingeriscono grandi quantità di micro e nanoplastiche e, una volta portati a tavola, trasferiscono questi microinquinanti all’interno del corpo umano.
Microplastiche nell’acqua, dove si trovano?
Le acque terrestri sono il più importante e massiccio veicolo di diffusione delle microplastiche.
In particolare, le acque interne raccolgono questi polimeri sintetici da diverse fonti e riescono a trasportarli fino agli impianti di potabilizzazione e nel mare, dove poi viaggiano per chilometri e si frammentano ulteriormente, fino a raggiungere dimensioni infinitesimali.
Nelle acque interne si trovano quindi residui di vernici stradali e di micro elementi chiamati city dust, originati dall’abrasione di oggetti di uso quotidiano come le suole delle scarpe e l’erba sintetica.
Nelle acque di scarico è facile incontrare rifiuti che arrivano dalle attività domestiche quotidiane. Come le fibre tessili sintetiche dei capi del fast fashion, guarnizioni e microbeads.
Nelle acque reflue si sversano anche residui industriali come vernici, antiruggine e paste cementanti. Questi, nelle fognature, vengono a contatto anche con altri rifiuti che derivano dalle precipitazioni intense, oltre a frammenti legati all’usura di tubazioni e impianti idrici obsoleti.
Microplastiche nell’acqua di rubinetto
Prima di giungere nelle case e negli edifici a uso commerciale, dopo essere passata attraverso impianti di depurazione comunali, l’acqua potabile subisce diversi controlli.
Durante la fase di potabilizzazione è stato dimostrato come le microplastiche vengano eliminate con successo, specialmente quelle dalle dimensioni più considerevoli.
È possibile quindi affermare che le microplastiche acqua rubinetto sono generalmente sotto controllo e la loro eventuale presenza può essere ulteriormente ridotta con l’impiego di purificatori domestici a osmosi inversa.
Microplastiche nell’acqua in bottiglia
Nonostante siano disponibili pochi dati, poiché la tematica non è ancora stata studiata a fondo, anche nell’acqua in bottiglia si possono trovare tracce di microplastiche.
Questo è dovuto al fenomeno della migrazione che, in caso di conservazione delle confezioni in PET in ambienti non idonei – con esposizione diretta e prolungata a fonti di calore – innesca il rilascio di microplastiche da parte della bottiglia e del tappo, che si disperdono nell’acqua.
Cosa fare per tenere sotto controllo le microplastiche nell’acqua
Le microplastiche ingerite accidentalmente attraverso l’acqua sono potenzialmente dannose per l’organismo, anche se a oggi non esistono ricerche che forniscano dei dati reali sul loro effetto. Certo è che la presenza di polimeri sintetici nell’acqua potabile ha messo in allarme l’ISS (Istituto Superiore della Sanità) e l’Unione Europea.
Con la Direttiva 2020/2184, l’UE ha riflettuto sul ruolo delle microplastiche quali “contaminanti emergenti” nelle acque per uso umano. All’interno del documento sono state indicate delle sostanze da tenere sotto controllo, le cui modalità di misurazione saranno definite a seguito del 12 gennaio 2024.
A livello domestico, ogni cittadino può fare scelte consapevoli per ridurre il potenziale contatto con microplastiche nell’acqua in bottiglia, scegliendo di dire basta alle confezioni in PET.
Sarà sufficiente installare un depuratore domestico a osmosi inversa per godere di un’acqua salutare da bere e per cucinare, libera da inquinanti come i polimeri sintetici (e non solo).