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La plastica nell’acqua che beviamo o ingeriamo in altro modo ogni settimana è pari a 5 grammi, il peso di una carta di credito.
Si trova negli oceani, entra nella nostra catena alimentare e arriva ai ghiacciai. È una conseguenza dell’inquinamento ambientale e oggi lo studio condotto dai ricercatori dell’Università di Newcastle e commissionato dall’associazione WWF lo dimostra una volta per tutte.
Ecco le nuove scoperte e i consigli per difenderci dalla microplastica!
La plastica nell’acqua, lo studio scientifico
La ricerca dell’Università di Newcastle intitolata No plastic in nature: assessing plastic ingestion from nature to people ha combinato ben 50 precedenti studi e ha raggiunto risultati scioccanti.
Sono 2.000 i minuscoli frammenti di microplastiche che beviamo e mangiamo ogni settimana. Equivalgono a circa 5 grammi settimanali e 250 grammi ogni anno.
Confrontando le analisi e i dati ricavati da studi diversi gli scienziati sono giunti alla conclusione che la plastica è entrata ora in modo definitivo a far parte della nostra catena alimentare.
Non da sottovalutare anche per i nostri animali domestici, anche loro ne risentono con gli alimenti confezionati e l’acqua del rubinetto utilizzata per la loro idratazione.
Insomma la plastica, che usiamo ogni giorno, è diventata un elemento comune della nostra dieta.
La ingeriamo ogni giorno sia con l’acqua in bottiglia, che con l’acqua di rubinetto.
Ma lo studio ha fatto emergere anche un’ulteriore differenza.
Le microplastiche che assumiamo nella nostra alimentazione variano inoltre da regione a regione. Negli Stati Uniti d’America e in India si assume ben il doppio delle microplastiche che si ingeriscono in Indonesia e in Europa.
Solo nell’acqua?
Lo studio scientifico commissionato dall’associazione ambientalista del WWF e realizzato dall’Università di Newcastle ha rilevato che non solo l’acqua contiene microplastiche, anche alcuni alimenti sono ricchi di questo materiale.
I cibi che poi contengono i maggiori livelli di plastica sono i molluschi, il sale e la birra.
A questa conclusione erano arrivate anche l’Università di New York, a Fredonia, e quella del Minnesota.
I molluschi, da un lato, ingeriscono la plastica e le microplastiche presenti negli oceani e, dall’altro, il sale analizzato, cioè 12 varianti di cui ben 10 erano di sale marino, contiene alti quantitativi di microplastiche che, in questo modo vanno a finire nel nostro organismo.
Un altro studio condotto proprio sul sale durante il 2017 da ricercatori spagnoli e pubblicato su una Scientific Reports in Nature ha dimostrato che su 21 tipi di sale ognuno di essi conteneva microparticelle di plastica.
I precedenti studi scientifici sulla plastica
L’impatto dell’inquinamento da microplastiche era stato dimostrato anche dallo studio che aveva riscontrato come questi microframmenti potessero arrivare al nostro intestino.
L’analisi era stata, in particolare, condotta su campioni di feci di 8 volontari. Analizzandole sono state trovate tracce di vari materiali plastici:
- polipropilene;
- polietilene tereftalato;
- altri 7 componenti riconducibili alla stessa categoria.
Un’altra ricerca scientifica invece aveva dimostrato che ogni pasto si potevano ingerire circa 100 frammenti di plastica.
La conclusione, in questo caso, era leggermente differente perché i ricercatori non ritenevano che la plastica provenisse dagli alimenti quanto invece proprio da fibre e da tessuti sintetici contenuti dentro la polvere domestica e, quindi, sui nostri piatti e cibi.
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La plastica nell’acqua e le microplastiche
La lettura di studi e delle conclusioni scientifiche che parlano della presenza di microplastiche e plastica nell’acqua portano a una domanda: ovvero cosa sono le microplastiche?
Si tratta delle piccole particelle di plastica che inquinano i nostri oceani e mari. Il nome, in particolare, discende dalle dimensioni visto che hanno un diametro compreso tra 330 micrometri e i 5 millimetri.
Il recente studio scientifico commissionato dal WWF ha dimostrato come esse siano pericolose alla salute dell’uomo e all’integrità degli habitat naturali.
Questo perché la plastica impiega diversi anni a sciogliersi e degradarsi e, nel frattempo, si accumula negli organismi di animali e pesci per arrivare poi agli esseri umani.
L’inquinamento da plastica e microplastiche
La presenza della plastica e delle microparticelle nell’acqua degli oceani e del mare è causata da un massiccio inquinamento.
Le industrie producono tantissima plastica non riciclabile.
Greenpeace ha calcolato che dagli anni Trenta del Novecento agli anni 2000 la produzione di plastica è passata da 1,5 milioni di tonnellate annue fino a circa 380 milioni di tonnellate.
Il problema è che, una volta utilizzata, la plastica non viene riciclata ma viene dispersa nell’ambiente e, soprattutto, nei mari.
Gli impianti di trattamento delle acque sono in grado di trattenere almeno una buona parte delle plastiche, tuttavia lo stesso non accade con le microplastiche che tendono quasi sempre a sfuggire a questo sistema di filtraggio.
Ma come avviene il passaggio dalla plastica alla microplastica?
Secondo gli studi scientifici la plastica una volta in mare si discioglie in diversi frammenti a seguito dell’azione continuata dei raggi ultravioletti, del vento, di microbi e alte temperature.
A dire il vero esiste anche un passaggio ulteriore perché le microplastiche poi diventano nanoplastiche, sulle quali però le conoscenze scientifiche sono oggi ancora limitate.
La plastica contro l’acqua, un bene da tutelare
A cosa serve l’acqua?
L’acqua riveste un ruolo fondamentale nella crescita e nello sostentamento di ogni forma di vita.
Il nostro organismo, come la maggior parte degli esseri viventi, è costituito in gran parte dall’acqua.
Questa sostanza è necessaria nell’agricoltura per fare crescere le piante, nella nostra alimentazione e anche nella produzione industriale.
È un bene prezioso e, in quanto tale, va assolutamente preservato e tutelato, anche perché non è illimitato.
Le scoperte scientifiche effettuate recentemente in relazione alla salute degli uomini e anche a quella dei mari sono un ulteriore segnale che ora dobbiamo mettere a punto una strategia efficace in grado di ridurre il consumo globale della plastica e un maggiore controllo delle nostre acque.
Ora come ora, infatti, è stato scientificamente provato che mangiamo plastica per cui servono misure concrete ed efficaci volte a limitare se non a debellare questo problema.
La plastica nell’acqua e i depuratori
Il direttore generale dell’associazione WWF, Marco Lambertini, ha dichiarato che “Se non vogliamo la plastica nel corpo, dobbiamo fermare i milioni di tonnellate di plastica che continuano a diffondersi nella natura”.
Questo sicuramente è un processo auspicabile che, tuttavia, non esime da una domanda: esiste un modo per bere l’acqua in bottiglia e l’acqua del rubinetto in modo più rispettoso per l’ambiente e per l’acqua in generale?
La risposta è si. I depuratori a osmosi inversa della Acqualife offrono infatti una soluzione ecologica in grado di tutelare meglio il nostro ambiente.
Innanzitutto questi sistemi a uso domestico consentono di purificare l’acqua del nostro acquedotto cittadino in modo da ridurre il residuo fisso e togliere tutte le impurità.
Il sistema di filtrazione non elimina completamente le particelle di plastica ma è un buon passo in avanti verso la lotta alla plastica visto che riduce il consumo e tutela così la nostra salute e il nostro ambiente.